INTERMEZZO, Parte IX

Milano. Terzo giorno di primavera, anno Domini duemilaecinque.
Lieta di avere avuto conferma di non essere rintronata e di essere in grado di accorgermi se qualcuno mi segue.
Altro capitolo nella sezione squilibrati-attratti-dal-radar-sempre-funzionante. Come da copione. Uno che, fermandosi alle apparenze, non per un pre-giudizio ma perché non ero interessata ad approfondire la conoscenza, nella migliore delle ipotesi ruba macchine e le smercia all'estero. O in un’altra, non meno plausibile, traffica con corpi umani in tutte le loro possibili declinazioni di mercato: dalla prostituzione agli organi.
C’è un’aura che circonda le persone che dice di loro molto più di quanto non facciano fiumi di parole.

Credo valga la pena descriverlo nelle sue fattezze: giacca di pelle nera, lunga, con maglione beige e jeans; dei capelli non ben definiti sia nella forma che nella tonalità, quasi da taglio e colore fatto in casa da principiante. O da cieco. Probabilmente c’erano anche degli avanzi di vecchie meches. Costituzione massiccia con evidente tendenza ad ingrassare, e mani con dita tozze, da intrallazzone e vizioso di becero profilo. D. il suo nome. Il suo obiettivo, a dispetto del contesto inusuale, ossia una profumeria del centro di Milano in pieno giorno, era quello di scoparsi la sottoscritta. Tutto questo è talmente surreale che sconfina inevitabilmente nel grottesco.
Dopo un irrisorio quanto palesemente falso giro del negozio, mi si è parato di fronte ed ha iniziato a parlare. Il suo primo approccio, da persona perfettamente inserita nel contesto meneghino, è stato di chiedermi se ero solita frequentare la discoteca T.. No. Nemmeno se mi dessero dei soldi per farlo. Al diniego, per sondare con che linguaggio relazionarsi e che strade intraprendere, mi chiede in che posti ero solita andare a ballare. A domanda fornisco risposte generiche e farlocche.
Mi racconta del lavoro che fa, accennando a non ben definiti commerci con l’estero. Devo riconoscere che ha avuto una discreta tenacia a restare lì con me, mentre io, durante il nostro dialogo, continuavo impunita ad annusare profumi. Ha anche partecipato attivamente alla cosa, sottoponendomene di diversi.
Una scena splendida è stata quando, con il tipico atteggiamento da club, ha posato un gomito su uno scaffale, gambe incrociate, mi ha guardato negli occhi ed ammiccando mi ha detto: “Andiamo a bere qualcosa?”. La mia risposta: “Alle due del pomeriggio? Ti senti bene?”, e lui che ribatte dicendomi: “Perché no? Andiamo qui sotto, c’è un bar!”, indicandomi la scala all'interno del negozio, che portava ad un altro reparto della profumeria.
Io l’ho guardato un secondo incredula e l’ho informato che sotto avrebbe trovato creme e saponette, ma non alcolici. Non convinto, mi guarda e mi dice: “No, sotto c’è un bar”. Fortuna che uno della sicurezza ha interrotto questo dialogo chiedendogli, gentilmente, di spostare il suo gomito dallo scaffale dei profumi.
Il nostro interloquire è proseguito: credo che in quel frangente mi abbia raccontato una bella dose di minchiate. È stato interessante osservare tutte le strade che ha percorso nel tentativo di portarsi via la selvaggina: dalle discoteche, al denaro con fantomatiche quote di partecipazione in rinomate palestre, ai profumi stessi, e sicuramente ad altro che non ricordo. 

Quando ha capito che la cosa sarebbe finita lì, ossia sarebbe rimasta solo una chiacchiera, ha mollato la presa. Non era una persona negativa, e a prescindere dall'avermi seguita, neanche molesta.
Più che altro una macchietta.
Ed un indiscutibile occhio sul sociale.

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