LONDON CALLING, Parte III

London. City. Liverpool Street. Friday. Early in the night.

Mi è appena arrivato uno schizzo di vomito sui pantaloni. Non mio. I pantaloni sì. Almeno è fresco. Nello specifico vodka. Io amo Londra. È stato prodotto da una ragazza a breve distanza dal coma etilico. Ci siamo sforzate di non ridere quando uno dei commessi del locale, durante la pulizia del pavimento da quel cocktail di succo gastrico e vodka, ci ha guardato e detto con marcato accento maccheronico: “Vanno negli altri locali, si ubriacano, e poi vengono qui e vomitano”. Avanzo di femmina tosto caricata con gentilezza su un taxi da due poliziotti, che mentre cercavano di convincerla a seguirli, smerlocchiavano. A mia volta smerlocchiavo il loro culo immaginandomi l’agente biondino deprivato della sua divisa, ma non di un paio di panties neri e aderenti, che con un bel sorriso, guardando dal basso all'alto mi sarei accinta a sfilare in prospettiva frontale.

Passaggio di testimone a tre ragazzi in giacca e camicia. La cravatta, nella più remota delle ipotesi è ancora attorno ai polsi di una spogliarellista, nella peggiore attorno al collo freddo sempre della nostra protagonista, mentre nella più plausibile, galleggia tra piscia e vomito nel cesso intasato di qualche pub. I tre, avvicinandosi a noi con una banalissima scusa, dimostrano invero creatività, affermando che le mie ciglia sono finte. Con la complicità dell’amico chiedendo conferma e con rara abilità prestidigitatrice facendomi chiudere per la seconda volta gli occhi, dolcemente e delicatamente elargisce un bacio a stampo sulle labbra della sottoscritta. Che come al solito ci è cascata come un tonno. È mezzora che fa pernacchie: gli uomini sono uguali in ogni parte del mondo. Cambiano solo i tratti somatici.


Mancano ancora due ore e qui dentro potrebbe succedere di tutto. Siamo nella versione anglosassone del C.. Con un tasso alcolico molto più consistente. Capitammo qui poiché uno sbirro gentilmente ci indicò questo posto per passare la notte. Ed evitare il freddo in strada. Strada dove comunque sono disponibili molte più vie di fuga, rispetto a queste gabbiette costituite da microtavoli in cui se ci si siede frontalmente all'interlocutore bisogna muoversi con molta dolcezza. Tra poco potremmo scoprire quanto molesti sono tra loro gli inglesi sbronzi.

Altri poliziotti. Purtroppo vestiti. Una distinta dose di uomini carini nel frangente di queste 24 ore a Londra si è profilata al nostro cospetto.

L’amico di prima continua in sequenza a: mangiare, chiamare un suo amico al telefono, ovviamente in viva voce, a ruttare, dire “chips” e poi “gets up”. Sarà qualche tormentone anglosassone.

Ma in questo contesto, l’unica vera question mark, come la madrelingua insegna è: come cazzo fanno domattina questi a svegliarsi e ad andare a lavorare? Sono le due.

Ora delle quattro, orario del primo Stansted Express che nostro malgrado ci riporterà verso Milano, come direbbe la mia compagna di viaggio, “sti cazzi”. Non ci siamo ancora alzate per andare a fumare solo perché in primis perderemmo il posto, and last but not least saremmo costrette a consumare dell’altro.

Ho come la sensazione di avere i denti coperti da uno strato di ghiaia gommosa. I ragazzi di cui sopra stanno uscendo ora dal locale. Non senza avere riprovato con il numero di prima. Cerco di immaginare l’amico, esattamente nelle condizioni in cui versa, in un frangente di comunicazione sessuale: ad andare bene potrebbe addormentarsi appena messo orizzontale, anzi, ancora meglio, in caduta libera. Più verosimilmente invece, potrebbe vomitare direttamente tra i capelli della partner. Un’erezione è ovviamente esclusa a priori.

Intermezzo di fellatio con chewing-gum parlando con la mia compagna di viaggio.

Credo che in questo contesto risultiamo un po’ delle mosche bianche. Tanto per cambiare. Visto che non ci vomitiamo addosso, non siamo sbronze, parliamo ma soprattutto stiamo scrivendo. Osservando gli altrui piatti ho visto cose strane: sembrano piccoli ceci in una sorta di melassa liquida. Magari sono proprio questo.

Acquisti in Camden Town, dove io mi farò il corredo se mai troverò il guerriero: pellame, argento e piume di struzzo. Niente frustini e guanti ascellari da fist in latex nero perché il budget non lo permetteva.

E. ha ragione: ha iniziato a fare più freddo dentro che fuori: ironia della sorte quando ha deciso di dormire hanno accesso la radio. In deprivazione di sonno la mente sbarella, ed è quello che sta succedendo a me (sono sveglia da ventiquattro ore con una notte precedente di neanche quattro ore di sonno ed idem quella prima). Non sono stanca ma inizio ad avere quella strana dispercezione di quando non scindi realtà da viaggio onirico. Ti sembra la stessa cosa.

E. si gira e rigira in cerca di una posizione che quantomeno possa essere definita tale: non le è chiaro che data la stanchezza probabilmente sarebbe sufficiente chiudere gli occhi.

Quest’uomo di fronte a me prima scartava sacchetti di plastica avvolti nello scotch. Ho visto anche che ha un tupperware con un contenuto non meglio identificato in tasca. Sta facendo del sudoku su qualcosa che assomiglia molto ad una free-press. In alternativa scrive su fogli per poi cancellare con righe le sue stesse frasi. Ma io dico, ma una casa non ce l’avete?

Ho puntato la sveglia, non si sa mai che nello scrivere mi perda via. Per un attimo ho sentito “spaghetti bolognese” ed ho avuto profondo terrore che qualcuno potesse averli ordinati. È entrato un ragazzo zoppicando, che tempo zero è uscito.

Ore 02:40. Venerdì notte. Il caffè che ho preso (caffèlatte) alle 00.40 è in buona parte ancora nella tazza e continua a cambiare sapore ogni volta che lo assaggio.

Questi due dietro al bancone sono palesemente italiani, sia per fisionomia che per accento. Credo di non avere avuto una pronuncia così terribile nemmeno prima di imparare l’inglese. Quello che mi chiedo è: perché a noi si sono rivolti in inglese? Forse fa parte della filosofia aziendale.

Credo che questa puzza sia strutto bruciato. In quanto cuoco dovresti sapere cucinare. E sapere che l’olio che hai rovesciato parzialmente nella spazzatura mentre il rimanente l’hai allungato con dell’altro olio, nel momento in cui assume quel colore nerastro che ho appena visto, diviene tendenzialmente cancerogeno. Menomale che sono a stomaco vuoto. Ironico destino anche il tuo che sei venuto ad imparare l’inglese da questi due.

Solo volo, niente hotel: 24 ore nella terra madre. Chissà che odore avrò addosso al mio rientro a Milano. Mi piace molto quello di Londra. Incollato addosso. Adeso come neonata livrea. Tornerò dolcezza. Tu non smettere di chiamarmi. Ed io tornerò. Abbiamo un conto in sospeso noi due.

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