ROSA BARBIE

Con ancora indosso questi undici centimetri di tacco, che con il loro significante hanno decentrato il tuo baricentro, ti scrivo. Con ancora indosso cellule della tua essenza come argentata polvere organica, cerco di inchiodarti a questa pagina. Con ancora intriso il tuo sguardo nel mio, in un abbraccio tanto desiderato quanto assolutamente illegittimo, cerco di ancorarti a questo frangente a righe. Non avrei mai detto saresti finito qui, involontariamente adeso su questi fogli. Inconsueta scoperta, accezione nemmeno lontanamente contemplata: per questa ragione così disarmante. Mi trovo a desiderarti al mio rientro, in un’illusione di proattività presto delusa dalla tua assenza. Forse, sarebbe bastato chiedere.


Del tuo frugare con gli occhi tra questa moltitudine, in una coreografia a te oramai meccanicamente, retoricamente ed obsoletamente nota, colei che il fendente aveva con ancestrale maestria affondato nel tuo interesse. Avvolta in un passo caldo, vestita solo di sé stessa, di una buona dose di gin e di una consapevolezza che brucia l’anima, al tuo cospetto si era presentata. Con evidente piacere l’avevi accolta, abbracciata e trattenuta a te più di quanto il galateo suggerisca.

Con ancora indosso quest’arma di seduzione dai lacci irriverenti, che andrebbero deliberati con il solo ausilio di incisivi quando io sotto il peso del tuo corpo in ingenua apparenza pugnace con acrobatica naturalezza al tuo volto li avvicinerei; con ancora indosso questi lasciapassare, di te scrivo.

Scrivo dell’incrocio di due guerrieri, che si sono fiutati e riconosciuti a dispetto dei secoli e delle fattezze modificate da scelte animiche destinali. Di queste anime millenarie, che nell’ennesima burla del fato si sono ritrovate.

Disquisendo per puro caso di differenti e di sudore madide divagazioni, in un’attrazione magnetica e inconsapevole sospesi, hanno cercato di scrutare l’uno dentro l’altro in racconti di esperienze somministrati all’olfatto dell’alterità come cromaticamente differenti gocce. In un abbraccio serrato, accarezzato dalle morbide e fluenti vestigia di una contingenza volutamente restrittiva, e dalle tue stesse mani ammorbidite dalla mia presenza.

Di legacci aurei ti chiedo. Di briglie consunte mi rispondi.

Di quel tempo che vorresti sospeso ma che continua irregolarmente a scorrere, quando guardando ermeneuticamente chi alla tua vista si pone, respiri preziosi tessiture di alchemico riconoscimento. Delle mie unghie scarlatte per l’occasione, che adornarono dita che a loro volta presero parte nella sceneggiatura nel momento in cui impunite accolsero il tuo volto, nella teatralità di un bacio che lasciò del lucidalabbra sulle tue guance: presto rimosso con l’unico intento di toccarti. Di poterti toccare. Di potere assaporare quel pretestuoso frangente che dell’amante è predilezione.

Nell’accorta preparazione della metamorfica geisha dal cui brillare ti lasciasti travolgere da sberluccicanti scintillii di esistenza. Un sipario che schiude su nere lenzuola di seta dolcemente illuminate dalla luce di sole candele come stelle in costellazioni d’alcova. Di passi morbidi e lenti su un palco animico deprivato di una connotazione temporale, preludio e scenografia al fruscio di neri kimono di raso sciolti con dolcezza, per lasciare emergere sinuose profondità volte a fondersi e diffondersi in ferree strette iliache. Di scintillante acciaio con sicurezza deposto ai piedi del talamo imbandito.

Di un varco aperto con un fendente animico di precisione chirurgica, che scinderà schiudendo su una cosa che in questa vita ancora non hai provato: il guardare negli occhi un altro guerriero che non ti è nemico. Ci sono cose che Tu dovresti sapere: credo sarò Io a dirtele. Ci sono altre cose che Tu sai, ma ora la necessità è che qualcuno te le ricordi.

Ti basterà guardare nei miei occhi: se sei veramente pronto le vedrai.

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