SEHNSO DHENSO

Destino ed istinto sono intimamente legati.

Esacerbante e fecondo incrocio di due creature, deciso dalla sorte ed intrecciato con deliberati e preziosi filati di luminosità aurea, di calore cardinale, e di purezza e consistenza diamantina. Predestinata intersezione dalla portata sismica e magmatica, che con la sua stessa forza avrebbe smosso tali e tante questioni, incatenandole e concatenandole beffardamente con ganci di sberluccichi platino, ai lembi delle esperienze vissute sinora, ed alle innumerevoli, floride e prolifiche mutazioni ed evoluzioni.


Estremamente complesso, risulta per me, porre su carta e trasformare in segni quanto da te preziosamente inoculato, con precisione micrometrica, esattamente nel fulcro e nel cuore della mia anima. In un contesto di insicurezza disarmante, fatto di finte certezze sgretolate con consapevolezza dalle mie stesse mani, e senza più alcun punto di riferimento che non sia espressamente mio, quindi con il tempo costruito e vissuto veramente. Di imposto solo quanto suggerito da una civile esistenza e coesistenza.

Eccezionalmente complicato quanto chiedo a me stessa di fare. Non è possibile dare un ordine ad una trasformazione così profonda, come quella avvenuta da un anno a questa parte. Necessito di metabolizzare alchemicamente in segni non gestiti da altro codice che non sia quello della propria esperienza e del proprio vissuto, quanto ipersintetizzato in energia neuro-chimica-cerebrale. Decodifica esclusiva di matrice sensoriale ed emozionale, quindi preclusa ai più. Volutamente criptica ad uso e consumo esclusivo dei referenti a cui voglio parlare ora. Il rischio e forse l’unico limite del sofismo, che in questo frangente ricade ammaliato dalla sua stessa magia, è di rendere tutto potenzialmente possibile, plausibile, reale e quindi accettabile. Accettabile nel frangente di una coscienziosa presa d’atto di una situazione, altrimenti definita come resa. Ma fino a quando tutto resta così empirico, senza le vere motivazioni dei due frangenti animici protagonisti, la questione rimane impalpabile ed offuscata: diverso è dunque l’investigare, il soffermarsi, l’inspirare ed il riaccarezzare le pieghe delle proprie esperienze.

È il perdono di sé stessi, degli errori che si sono compiuti in carenza di ascolto delle proprie vere necessità. Sono matasse di refe di ferro e rovi appuntiti, intessuti da molteplici mani incoscientemente complici nello stesso artificio virale. C’è chi ci muore, prigioniero di queste stie. Senza avere mai permesso alle proprie ali di dispiegarsi, rendendo dura come cuoio la propria pelle, procrastinandone immemorabilmente il germoglio, costringendole in cancri ipodermici putrescenti. Esiste chi invece, di quel groviglio vessatorio e coercitivo decide di disfarsi: un processo all’apparenza improbabile, estenuante ed infinito. Invece, maglie incredibilmente serrate ed incollate da collose ed aderenti bave di fossilizzazioni temporali, si sciolgono, liquefandosi e dissolvendosi sotto lo slancio della propria consapevolezza. Angoli umidi ed oscuri, irrorati di muffa e di rivoli rancidi, trasformati in lucido ed inintaccabile platino, dal fervore e dalla passione che scorrono nell’appropriarsi e nel costruirsi la propria esistenza. Corpi che mutano. Anime che perdono scaglie dermiche nel rinnovamento più profondo che esista: quello della psykhè universale. In un sincronismo perfetto, c’è un frangente ed una accogliente e morbido recesso favorevole poichè ogni mutazione possa germogliare.

Psychò primordiale e prodromico: irrora e avvolge di inaudita veste la più piccola delle cellule, ogni tessera esperienziale, di un’energia atavica e inarrestabile. Fenomenologia virtuosa per anime assetate di evoluzione alla ricerca del proprio sentiero universale; indagine dolorosa e sofferta che una volta svelato ed assimilato l’arcano della trasformazione, necessita dell’eradicazione di tutte quelle sicure certezze meticolosamente e laboriosamente assemblate. Grazie ad un’imposizione restrittiva e subordinante. Demoni creativi che trovano mille e mille sentieri per manifestarsi e somatizzare: va posto loro ascolto e con loro bisogna necessariamente dialogare, prima che prendano parola in nostra vece.

La liberazione che schiude al verò sé, non consta nella distruzione fine a sé stessa a guisa di massacro, ma nell’ascolto di ciò che da sussurro latente sta diventando quotidiana somatizzazione manifesta, pervasiva e pressante. È l’investigazione dell’essenza, di ciò che nel profondo nutre e disseta. In questa inchiesta non esistono più definizioni che risultano sterili: ruoli imposti come succinte vesti che costringono e sedano.

Esclusa ogni precisazione e determinazione che a priori comporti una demarcazione di una frontiera e conseguentemente una limitazione ed una conclusione. Processo inutile ed asettico. Se un confine, un limite esistono, sono fatti unicamente per essere superati attraverso il cambio di paradigma. Dissidio umano che nasce propriamente dalle definizioni che si vogliono forzatamente attribuire con lo scopo di definire e dunque limitare, ciò che invece potrebbe invero essere vissuto pienamente e profondamente, semplicemente per ciò che è, e non per la lettera che sulle vesti gli viene cucita: descrizioni e circoscrizioni errate che, in quanto assunti scorretti non possono che condurre verso strade inesatte ed inadeguate agli interlocutori, poiché non effettive e disaffettive allorché non includono l’ascolto. Specificare significa precludere la vita stessa.

Nessun incrocio è casuale: ciascuno cela un significato profondo. Le tempistiche e le modalità, assolutamente spontanee, con cui questi avvengono, ne sono testimonianza e manifestazione evidente. In questo palcoscenico sincronico di incastri perfetti e pre-destinati, ogni soggetto, in un gioco di prestigio universale, attira ed incontra il referente che in quel frangente esistenziale può svelargli qualcosa in più di sé stesso. Con lessico, sintassi e dialettiche differenti per ciascuno: questo non conta; talvolta, parlare lo stesso linguaggio è limitativo, perché chiude altri canali percettivi limitando una comunicazione che potrebbe percorrere sentieri diversi ed alternativi. Perché per l’ennesima volta, non sono le parole ad avere peso, ma ciò che l’incontro sortisce ed ingenera.

Ragione per cui ogni ruolo imposto risulta limitativo e sterilizzante per l’esperienza: essenziale l’apertura all’alterità, ovunque ci porti. Qualunque cosa su noi stessi ci sveli. Ed è questo, il terrore più incontrollabile.

Nessun commento: