SULLA COMUNICAZIONE

Una comunicazione, per essere efficace, deve necessariamente essere chiara. Facciamo salvo il principio base della comunicazione, per cui da un emittente parte un messaggio, che viene veicolato attraverso svariati mezzi, ad un ricevente, il quale deve possedere gli strumenti di decodifica corretti. Proprio questi strumenti si rivelano uno dei limiti alla comprensione. Limiti costituiti non soltanto da una deficienza interpretativa generata da assunti di natura diversa, quali il livello culturale, le esperienze vissute nella quotidianità, quindi il contesto sociopsicologico di riferimento, ma anche e soprattutto la scarsa apertura all'accoglimento, di quel diverso occhio sul mondo costituito dall'alterità, la quale sovente viene vista come non sé e quindi priva di natura empatica.

La questione quindi, o quantomeno una delle molteplici pliche che la costituiscono, è l’interdizione del ricevente volontaria ed autogenerata. Semplicemente l’interlocutore non non può, ma non vuole intendere.

I tecnici della comunicazione, nell'evoluzione della stessa, hanno impiegato un notevole impegno di energie nella ricerca di un linguaggio efficace, che negli ultimi tempi ha assunto anche sfaccettature pervasive, frutto di manipolazioni che trovano terreno fertile in sentimenti di inadeguatezza indotti, al fine di potere meglio ingenerare e gestire bisogni e necessità, paradossalmente tanto vacui quanto
profondi. Ne è chiara manifestazione la fenomenologia oramai consolidata da anni, ed anche per questo così palese e becera, della creazione di status di bellezza assolutamente surreali e lontani dalla realtà. Il riferimento ad un immaginario collettivo che propone modelli estetici assolutamente fantomatici, quanto in realtà sentiti veritieri e vividi, è disarmante. Ed altrettanto disarmante è la disputa e la bagarre che ne conseguono quando si prova ad affrontare l’argomento, e quando ci si trova a relazionarsi ad una quotidianità fatta di disagi sociali contemporanei che assumono le morfologie più disparate.

Se semplicemente, si comprendesse, che la sfera a cui si fa riferimento, come quella della moda, della pubblicità, e della televisione, sono soltanto sublimazioni materiche in carta, pellicola e di emanazioni in RGB, di una necessità di tipo esclusivamente consumistico, che vuole sfruttare il sentimento di inadeguatezza che affligge molte persone, con l’unico scopo di tenere in vita un sistema economico che altre risorse non ha se non questi specchi per allodole, molte delle suddette situazioni, non verrebbero certamente risolte ma, quantomeno, vi si guarderebbe con un occhio decisamente più critico e disincantato.

Se si avesse la consapevolezza, aprendo gli occhi e guardando la materia che costituisce la quotidianità che ci circonda, che per citare un esempio, la realtà fisica femminile è per natura costituita di morbidezza, oppure che è assolutamente innaturale o almeno da considerarsi eccezionale, un’innaturale eccessiva abbondanza di seno su un corpo minuto. Pare così semplice a narrarsi. La complessità e vischiosità della questione sta anche nel fatto che purtroppo si ha la tendenza a non considerare l’oggetto (il non sé) come veritiero ed effettivo. Si ha quindi la rivelazione e la conferma di un diffuso narcisismo involuto ed esasperato che non contempla l’esistenza dell’altro. E se lo contempla, lo considera come pura immagine e non lo considera comunque al proprio pari.

Questo è uno dei frutti di una distorta società e civiltà (anche se il termine civiltà presuppone degli altri assunti) dell’immagine. Un’immagine che dovrebbe illustrare, farsi testimonianza di un contesto, diviene invece aberrazione al servizio di una sostanza che manca. Molte cose potrebbero prendere un’altra piega all'interno delle dinamiche su scala mondiale, se si comprendesse questa fenomenologia. Anche se solo la si contemplasse e non fosse considerata come mero sofismo intellettuale a privilegio di pochi. Ed in tal caso sterile, poiché quei pochi già sanno.

Una piccola svolta nell'ambito della comunicazione dovrebbe prevedere un cambiamento di paradigma, utilizzando una comunicazione emozionale. Ma non nell'accezione tanto inflazionata che di emotivo non reca con sé oramai più nulla. Ritornando allo sforzo, sovente vano, compiuto per rendere un messaggio decifrabile e comprensibile, credo che sia importante ora, non tanto che il messaggio smuova qualcosa nel destinatario, quanto che chi sta comunicando abbia la possibilità di dirlo e di farlo attraverso il linguaggio delle proprie emozioni. Come conseguenza di questo è probabile che anche il ricevente sarà in grado di “sentire” qualcosa.

Sembra essere la risposta ad un contesto in cui l’affanno per mantenere vivo e attivo un sistema è dissanguante: ritmi frenetici imposti con risultati di scarsa qualità, come è ovvio che sia. Semplicemente perché ciò che si cerca di tenere in vita è morto da parecchio: da qui dieci volte lo sforzo normalmente necessario per il proseguire di un’esistenza.
Esistenza, che torniamo a quanto sopra, è ridotta ad un immaginario falsato e sfalsato, riflesso di qualcosa che non esiste.

Forse un’altra strada da percorrere è quella del messaggio libero da vincoli preconcetti di livello di basso profilo: il livello del destinatario deve essere innalzato. Altrimenti sarà sempre un gioco al ribasso. E dove si finisce l’abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Marionette di varia foggia e natura con, purtroppo, grossi incarichi sociali e con incoscientemente il peso di un paese sulle spalle. Una comunicazione quindi che parta dalle emozioni di chi la emette. 
Con l’unico, vero, difficile e profondo sforzo di essere se stessi, liberi da vincoli da altri imposti. 
Questo non è un manifesto né reazionario, e tanto meno rivoluzionario. È un tentativo di presa di consapevolezza. Non nascerà dalla lettura di queste righe. Nascerà dalla trascendenza e dall'ascolto. Forse il compito più arduo che spetta all'umanità.
Se tale vorrà essere ancora definita.

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