COMMISSARIO

Questa notte ho fatto un sogno.

Credo stessi uscendo da una galleria, ma non ricordo se fossi in macchina o a piedi. Non so bene neanche per quale motivo mi sia dovuta fermare. Diverse macchine della polizia stradale, ferme.

Ferma anche io. Mi muovo tra di esse, ancora parzialmente sotto questa galleria.

La luce passa attraverso la struttura portante del tunnel. Al di fuori un paesaggio che poteva essere quasi collinare. Toscana, forse. Colori dominanti: verde chiaro delle colline, grigio scuro della galleria, bianco del cielo. Azzurro delle pattuglie. Cammino tra le macchine perché non posso fermarmi, ho da fare, devo andare via. Tanto non è successo nulla di grave, posso andare. Sono di fretta.

Fino all'incrocio con il suo sguardo: poche persone, forse nessuno, mi ha mai guardata così.
Si presenta, mi dice il suo nome (che ora non ricordo). Nome e cognome. È un commissario di polizia. Sui quarantanni. O forse poco più. Mi guarda attraversandomi l’anima. Un sorriso un po’ più che accennato, uno sguardo che sarebbe stato in grado di incollarmi all'asfalto. O a lui. Uso il condizionale, perché io non potevo assolutamente fermarmi. Tutto si è svolto in pochissimi secondi. Mi ha detto dove fosse il suo ufficio. Chiedendomi tra le righe di andare da lui. Non poteva sbilanciarsi: due perfetti sconosciuti. E non aveva neanche espedienti per poterci rivedere: non era forse successo veramente nulla, ci siamo incontrati sotto quella galleria per colpa del caso. E io dovevo assolutamente andare. Ironico, beffardo e puntuale pretestuoso incrocio di destini.

Quando ha capito che non potevo restare e neanche andare da lui mi ha detto: “Allora ti verrò a cercare io”.

Bene. Io ti sto ancora aspettando.

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Postilla del 30-07-2019: sto ancora aspettandoti.

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