EPISTOLARIO METROPOLITANO - A ignoto A.

A.. Duemilasei, periodo di cambiamenti quasi epocali. Di quelli che forse, non realizzi immediatamente, tanto vasta ne è la portata. Ciononostante con una perenne insoddisfazione di fondo: logorante. Talvolta sopita da un rientro alla realtà come protezione della specie.

Fine settembre: vado in vacanza a Santo Domingo con mia sorella, e scopro sensazioni mai provate, consapevolezze che per incanto si trasformano in energia e ridanno linfa vitale a quanto massacrato per anni. Riprendo vita. Riprendo forma. Riprendo sostanza. Fiorisco. La terra si rivela fertile. Fertilissima. Svolta. La svolta.
Torno. Due ore dopo avere toccato il suolo squilla il mio cellulare: un'agenzia mi contatta perché ha ricevuto il mio curriculum. Con neanche tanta voglia vado a fare un colloquio: mi offrono la direzione creativa. Sono in start up: progetti meravigliosi, sinergia nella comunicazione che corrisponde perfettamente a quello che voglio fare io. Accetto. Si rivela, da lì a pochi giorni dopo l'inizio, uno tra i più grossi errori che potevo fare. Un gruppo di inette, assolutamente non professionali e soprattutto scorrette. Il lavoro è bello, mi piace molto, soprattutto l'interfacciarmi direttamente, e finalmente, con il cliente. Per il resto scopro di essere stata raggirata: non mi sono state dette tante cose che io, ovviamente avevo dato per scontato. Il rapporto che si instaura è da free lance: e questo sarebbe splendido, tant'è che io così mi ero proposta. La differenza è che in realtà sono una dipendente. Quindi non ha senso. Questo come altre mille cose taciute. La terra trema. E qui un'altra svolta epocale: capisco che anche se sbaglio, non è grave. E soprattutto acquisisco un'altra consapevolezza ancora: quello che valgo. Le mie capacità professionali e relazionali sono molto più consistenti ed elevate di quanto pensassi. Cerco di prenderla con filosofia, sapendo che nulla succede per caso. Che a volte, l'orgoglio, quello di foggia inutile, può essere accartocciato e gettato alle spalle. Ho capito anche perché mi hanno mentito: se avessero parlato sinceramente, non avrei mai accettato. Subdole e viscide. Raccoglieranno quel che hanno seminato. Ma questa è una storia che non mi appartiene. Sono solo una pedina in questa vicenda, sconti karmici altrui che si intersecano con i grovigli della tua esistenza e con decisioni che devi prendere.

In questo momento lavoro ancora per loro. Per poco. Fino a quando non avrò trovato dell’altro.

Cerco di mettere a fuoco, di ricomporre il mosaico. Un lavoro estenuante. Sul mondo che mi circonda, ma prima di tutto su me stessa. Quando si hanno incollate talune agonie, si stenta a togliersele di dosso, per non privarsi di quella spinta, paradossalmente vitale, che ti permette di dare forma, vita e parola, a quei demoni che spronano. Il processo creativo come somatizzazione di uno stato psichico: passaggi di stato e parti materici. Sublimazioni fervide e ferventi, che portano seco stille della propria essenza. Sostanze luminescenti, vive, pulsanti, dentro vitreo materiale lucido e efflorescente.

Ho ridato luce e magnetismo al mio sguardo, ho permesso al fuoco che incendiava le mie viscere di venire allo scoperto. Ho sognato incendi. Sveglia, mille notti, in un lago di sudore. Ho vomitato bile. Ho sputato tutto lo schifo ed il veleno che avevo dentro.

Si dice ci sia un tempo per ogni cosa. Non riesco a smettere di chiedermi quando sarà. Mi chiedo se sto facendo abbastanza, anche se la risposta già la conosco.

Ci sono ancora infiniti passi da fare, nuovi cammini da percorrere. Mi conforta sapere che questo avviene quotidianamente. So che le svolte arrivano quando meno te lo aspetti.

A settembre ho anche perso un amico in un incidente stradale. Uno dei mille tormentati per i quali io non ho un lanternino, ma un radar. Una persona con la quale ho passato una tra le serate più belle di questa vita: a Gennaio, la sera che sono scesi 30 centimetri di neve. Io e lui eravamo in giro assieme. Uno che mi ha mollato anche un gran bel due di picche passato alla storia. Chiedo, che possa avere tutta la luce che qui non ha mai visto; ed in cuor mio, so che quella luce per lui c’è. Quando un'esistenza finisce, è normale, ti chiedi il perchè di questo. Visto che le solite risposte non forniscono spiegazioni esaustive, probabilmente è il caso di trovare alternative. Forse aveva risolto alcune sue questioni. E semplicemente se ne è andato. Cose strane sono successe poco tempo prima. Una notte, chi tira i fili di tutto questo, volle che ci incontrassimo per caso in un locale, nel quale io sono arrivata tardissimo. Mi giro e lo vedo alla mia sinistra. Lo abbraccio strettissimo, molto felice di vederlo, e con persuasione femminea lo induco a dirmi che gli sono mancata. Avevamo un bacio in sospeso da cinque mesi. Fino a quel momento. Se ci ripenso uno tra i baci più dolci che io ricordi: e questo svela e rivela molto della sua identità. [Chissà cosa ti tormentava dolcezza. Qual’era la ragione scatenante: e che ben conoscevi, dato che mentre fuori nevicava, distogliendo lo sguardo da me, mi dicesti “Ma io so cos’è. Ho provato ad affrontarla.” E cambiasti discorso.] Dicevo: passiamo quel poco che resta della serata più o meno assieme. Quando il locale chiude, lo saluto ed esco a parlare con un amico; ma mentre stiamo chiacchierando sento “qualcosa” passare alle mie spalle. In questo passaggio però, la sensazione di una parte che si stacca da me e scivola via è così forte, che mi obbliga ad interrompere la conversazione ed a girarmi. Lo vedo sui gradini di uscita del locale. Seguendo il puro istinto lo chiamo ad alta voce, gli corro incontro, gli prendo la testa tra le mani e lo bacio. Lo guardo negli occhi e gli dico: "Ciao” chiamandolo per nome. Lui, mi guarda un po’ perplesso, perché non riesce a decodificare o spiegarsi il mio slancio. Torno indietro e il mio amico che ha assistito a tutta la scena, mi dice: "Che impeto!". Forse aggiunge anche un “Cazzo! Che trasporto!” Al momento non riesco né a spiegarlo al mio amico, né a me stessa.

Diviene chiaro primi di settembre, quando arrivo a casa di una mia amica tumefatta dal pianto, e lei mi chiede quando è stata l'ultima volta che l'avessi visto. E ritorno a quella serata. E tutto torna. Quella notte, quando è passato dietro di me, qualcuno ha voluto dirmi che non l'avrei mai più rivisto. E mi ha dato l’eccezionale possibilità di salutarlo.

Avverto spesso la sua presenza. Specialmente quando parlo di lui o quando sto per commettere qualche errore. Lui lascia che io li faccia, perché così è giusto che sia. Ma mi fa sempre sentire che di me non si è dimenticato. Stanotte mi sono svegliata perché ho sentito una mano passarmi nei capelli. Non so chi fosse. E' qualcuno che da un paio di notti gira per casa mia.

Proseguo nel mio cammino. E' estremamente ripido. Trovo talvolta qualche oasi, ma è solo per dissetarmi, non posso fermarmi. Continuo a scegliere con la mira di un cecchino professionista. Forse continuo a sbagliare qualcosa. Dico forse, ma so che dovrei dire sicuramente.

Le persone quando decidono di scappare dicono che mollerebbero tutto per andare ad aprire un locale su qualche spiaggia caraibica. Io credo che andrei a lavorare su una nave di pescatori o su qualche piattaforma petrolifera in mezzo al mare. Pensa come sarebbe, la notte, in mezzo all'oscurità più totale: solo stelle e acqua. Tu saresti un puntino là in mezzo. Una barca, di notte: tu ed il Cristo. Quante cose avrei da chiedergli. Conoscendomi potrei anche provare a sedurlo. Con un tale saggezza, ascendente e carisma, la fisicità diventa inevitabile.

Io sono questa e tu sei uno tra quelli che l'hanno capito. Ci sono altre cose da raccontare. Di questo. Di tutto questo. E di molto altro ancora.

Grazie per avermi ascoltato. Come sempre.

Nessun commento: