POSTO FINESTRINO, Parte II

Rieccoci su questo veicolo catartico che pare essere il treno. Un veicolo dall’inconscio al conscio. No, questa è l’ennesima cazzata: talune cose conscie lo sono sempre state, ora hai avuto il coraggio di ammetterle a te stessa, che poi è la cosa più difficile. Grazie ancora a lui. Ma quante cose ti sta permettendo di comprendere. Ammissioni talmente difficili che non hai quasi nemmeno il coraggio di scriverle. [Perché questa sera hanno tutti su gli occhiali da sole? È il 30 gennaio e seono le otto meno venti di sera. Giusto per contestualizzare.] Ammettere che ne ha un po’ pieni i coglioni di stare da sola: sette anni di duelli in solitaria. Che fatica ammettere tutto questo. Potrebbe anche incrinare il tuo scudo: e sai bene che una fessura nella corazza potrebbe anche sgretolare tutta l’armatura.
Ti ha chiamato, come profetizzato in uno scambio di equilibri lungo il binario. Tanto è difficile per te per alcuni versi, quanto lo è per lui per altri. La tua risposta è arrivata limpida come acqua e diretta come un treno. Quando ha esordito con: “Quando vieni qui a trovarmi?”. Tra parecchio. La tua risposta è stata chiara, concisa, esaustiva, impattante. Come da tradizione. “C’è bisogno che io torni lì per vedersi?”. Forse non importa. La guerriera ha dovuto sfilare nuovamente la spada dal fodero, quando di fronte ad una reticenza, o a qualcosa che ha percepito come tale, ha dovuto aggiungere come postilla, una postilla chiaramente di fuoco: “Io non ripeto le cose. Te l’ho detto una volta. Ora lo sai.”

Così è.
Anzi, così sei. Come da copione hai aggiunto anche “Io non insisto.” Comunque, dopo un nulla di fatto, tutto questo è di scarso interesse, quindi si può soprassedere.

Parliamo invece del fatto che tornare a casa è l’ultima cosa che voglio fare ora.
Ora e in linea di massima sempre.

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