ZURIGO

Questa stanza ha le pareti dello smeraldo. Esse stingono al soffitto in un ipnotico blu notte, profondo come gli abissi in cui ci siamo incontrati e persi.

Questa stanza in cui ti sto aspettando è perfettamente quadrata. In questa stanza tempo e spazio non esistono. Prescindiamo e trascendiamo ogni contesto temporale e spaziale.

Questa stanza è un buco quantico: un abisso vertiginoso nella corruttibilità umana che ha permesso di fonderci e confonderci.

Piove in questa stanza.
Piovono miliardi di gocce come torrenziali diamanti scintillanti. Piove a dirotto sulla mia pelle algida e sulle mie fattezze deprivate di un’identità precostituita, che nella sua negazione ed esfoliazione, ricerca la purezza dell’essenza. Piove un’acqua pura e cristallina su questa vorace ed estenuante ma mai esaustiva ricerca, ed inonda di nuova sostanza le sue implicazioni e complicazioni.


Piove incessantemente in questa stanza smeraldo mentre ti sto aspettando. Fuori è una notte indistinta, che a me, con pungenti e taglienti briglie dorate, ti sta portando. Piove al di fuori dei labirintici corridoi scarlatti di quest’albergo nel centro di Zurigo. Zurigo è immersa di una notte fonda sensualmente accarezzata da un vento tiepido che da immemore apnea risveglia e desta. Piove copiosamente in questa stanza, mentre in terra, sul pavimento color avorio, residua rimane una pozza di quell’acqua rigeneratrice che irriverente cade dal soffitto. Piove su queste lenzuola di raso che sembrano nella loro lucidità assorbire il tempo.

Seduta sul ciglio del letto sto aspettando te. Con i piedi nudi ed immersi fino alle caviglie in un’acqua che ricorda i monsoni caraibici mi vedo in uno specchio riflessa con il trucco nero attorno agli occhi colante sul mio volto. Di un rossetto scarlatto reco traccia di desinenza su un bicchiere che stringo come unico evanescente residuo di lucidità nella mia mano destra. Assenzio il contenuto.

L’acqua sembra aderire e soffermarsi solo su di me. Pavimento a parte. Il mio abito, ora, è un nero straccio di seta e paillettes sberluccicanti imbibito che ha perso ogni morfologia nel suo su di me aderire. Anche io mi sto dissolvendo nell’attenderti. La china sotto la mia pelle comincia ad animarsi ed a muoversi: vedo animati disegni melliflui estendersi ed avvolgermi come grovigli suadenti. Sono coperta di arabeschi figli della notte che ondeggiano e si espandono come una danzatrice del ventre. Vedo in quello specchio narciso la rifrazione di una mano tribale che nel circumnavigare il mio collo si insinua sensuale sino alla mia bocca ed al mio naso.

Anossico è il suo tatto.

Piove in questa stanza.
Gocce grandi come noccioli di ciliegie si infrangono su di me. Le sento aderire alla mia testa rasata al cui centro spunta un’unica ciocca di capelli talmente lunghi, corvini e perfettamente lisci, da toccare il pavimento. Una ciocca fitta e densa, dello spessore di un mazzo di rose.
Piove nella rifrazione avvolta da quella cornice rococò bianca come la neve.
Piove come monito sulla mia misera umanità che è qui ad attenderti, sulla tua che a me sta giungendo e sulla testimonianza di tutto ciò che siamo stati, siamo e saremo. Piove nel tentativo di lavare via le reciproche colpe.
Piovono ballerine stelle che sulla mia pelle ora si posano e di iridescente, tattile ed olfattiva sostanza mi travestono. 

Perdo i sensi ora.
Ammesso che li abbia mai avuti.

Nella tua imminenza io in te mi abbandono.
Dissolvendomi al tocco delle tue nocche sulla porta.

Nessun commento: